"Abbiamo visto che la Chiesa anche oggi benché soffra tanto, come sappiamo, tuttavia è una Chiesa gioiosa, non è una Chiesa invecchiata, ma abbiamo visto che la Chiesa è giovane e che la fede crea gioia" (Benedetto XVI, 29 luglio 2010)

martedì 27 marzo 2012

Il Papa scrive ai giovani: siate missionari della gioia, quella che nasce da Dio e non tradisce

La prova “dell’affidabilità” della fede cristiana è questa: che in un mondo triste e inquieto il cristiano vero mantiene in sé, e diffonde attorno a sé, la gioia. Parte da questa considerazione il lungo Messaggio di Benedetto XVI, che guarda alla Gmg del primo aprile, ma parla fin d’ora ai giovani, specialmente a quelli – nota – che “hanno un immenso bisogno di sentire che il messaggio cristiano è un messaggio di gioia e di speranza”. Il Papa sviluppa la sua riflessione in sette punti, partendo da un assunto incontestabile: il cuore umano “è fatto per la gioia”, perché – afferma – è l’ingrediente che chiunque cerca per “dare sapore” alla propria esistenza. 



La famiglia, un’amicizia “condivisa”, un “lavoro ben fatto”, la natura con le sue meraviglie, un “amore sincero e puro”: tutto questo, osserva, è fonte di gioia. Come pure il fatto “di esprimersi e di sentirsi capiti”, di poter essere utili agli altri, di aprirsi a nuove esperienze con la cultura e i viaggi. Ma guardando a ciò, si chiede Benedetto XVI, dov’è il confine tra “gioia piena” e duratura e “piacere immediato e ingannevole”? La risposta il Papa la ribadisce alla riga successiva: le “gioie autentiche – dice – quelle piccole del quotidiano o quelle grandi della vita, trovano tutte origine in Dio”. Da Lui proviene la gioia che “non ci abbandona nei momenti difficili”, perché Dio ci ha creati per amore e “vuole renderci partecipi della sua gioia”, che a differenza di quella umana è “divina ed eterna”. Ed è in Gesù, prosegue il Papa, che questa gioia di Dio diventa tangibile e si radica dentro, nel profondo del cuore. Perfino la Passione e la Croce sono fonte di gioia, quella della salvezza. “Il male – assicura Benedetto XVI – non ha l’ultima parola sulla nostra vita, ma la fede in Cristo Salvatore ci dice che l’amore di Dio vince”.

Stabilita l’origine della gioia cristiana, il passo successivo è comprendere come questo tipo di gioia si possa “ricevere e conservare”. Anche qui, il Papa ripete ai giovani una verità bimillenaria: la gioia spirituale – quella che resta e non tradisce anche quando la vita è difficile – si riceve e conserva andando incontro a Cristo. “Cari giovani – esorta Benedetto XVI – non abbiate paura di mettere in gioco la vostra vita”, puntando “tutto su di Lui” e sul Vangelo. Riconoscete “ogni giorno la sua presenza, la sua amicizia” negli avvenimenti della quotidianità e “sappiate che non vi abbandonerà mai”. Cercatelo, incalza, nella sua Parola; trovatelo nei Sacramenti. Un cristiano, annota, non sa cosa sia la tristezza perché ha incontrato chi ha dato la vita per lui. Poi, da esperto dell’anima, Benedetto XVI si trasferisce nei panni del fine pedagogo. Affermando che gioia e amore sono intimamente legati, perché la prima “è una forma” del secondo, il Papa si sofferma sul valore dell’impegno e della costanza. Lealtà e fedeltà nei rapporti e nel lavoro, chiarisce, sono imprescindibili. 


La gioia è come una porta e per entrarvi, puntualizza, “siamo chiamati anche ad essere generosi, a non accontentarci di dare il minimo, ma ad impegnarci a fondo nella vita, con un’attenzione particolare per i più bisognosi. Il mondo – ricorda – ha necessità di uomini e donne competenti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune”. Dunque, ripete ai giovani, “impegnatevi a studiare con serietà; coltivate i vostri talenti e metteteli fin d’ora al servizio del prossimo”, lasciandovi sedurre dallo spirito di servizio piuttosto che dall’avidità di soldi, successo o potere. Ciò, avverte, impone di individuare bene su quali “traguardi” puntare: non certamente quelli di “comsumo”, figli di una diffusa logica commerciale, ma sulla felicità che Dio promette a chi orienta a Lui i grandi progetti della vita: la vocazione al matrimonio quanto quella al sacerdozio o alla consacrazione.



Benedetto XVI tira le fila del suo discorso evocando due figure d’eccellenza: il Beato Pier Giorgio Frassati – che amava dire che “ogni cattolico non può non essere allegro” – e la Beata Chiara Badano, testimone di come anche il dolore di una grave malattia, che l’ha portata via a soli 18 anni, “possa essere trasfigurato dall’amore ed essere misteriosamente abitato dalla gioia”. È questo, per Benedetto XVI, il punto più alto della gioia: quella che resiste “nelle prove”. La conclusione è allora diretta e coinvolgente, con echi che riportano a quanto detto all’inizio del Pontificato, poco prima della Gmg di Colonia: “A volte – sostiene il Papa – viene dipinta un’immagine del Cristianesimo come di una proposta di vita che opprime la nostra libertà, che va contro il nostro desiderio di felicità e di gioia. Ma questo non risponde a verità! I cristiani sono uomini e donne veramente felici perché sanno di non essere mai soli, ma di essere sorretti sempre dalle mani di Dio!”. Dunque, termina Benedetto XVI, siate “missionari della gioia. Non si può essere felici se gli altri non lo sono: la gioia quindi deve essere condivisa”.



-Radio Vaticana-

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