Siamo chiamati "ad uscire continuamente da noi stessi", "per portare nella realtà quotidiana in cui viviamo la certezza che ci viene dalla fede", e cioè "la presenza di Dio nella storia", "che porta vita e salvezza, e ci apre ad un futuro" senza tramonto. Lo ha detto Benedetto XVI nell'Udienza generale di questa settimana, continuando le catechesi sull'Anno della fede e riflettendo questa volta sulla "solenne professione di fede" racchiusa nel Credo.
"Credere in Dio" è "insieme un dono" ed "un impegno", "grazia divina e responsabilità umana", e ci "apre all'infinito mondo del rapporto con il Signore e con il suo mistero". Ad insegnare la fede è "tutta la Bibbia", che narra la storia del progetto di redenzione di Dio per l'uomo "attraverso tante luminose figure di persone" che a Lui credono e a Lui si affidano totalmente.
Tra queste il Papa ha focalizzato l'attenzione sul patriarca Abramo, "la prima grande figura di riferimento per parlare di fede in Dio", "modello esemplare, padre di tutti i credenti", così come ce lo racconta San Paolo nella Lettera agli Ebreri, nella Lettera ai Romani e come è narrato nel Libro della Genesi.
La "partenza al buio" di Abramo, "senza sapere dove Dio lo condurrà", dimostra "un'obbedienza e una fiducia radicali" ed è rischiarata "dalla luce di una promessa", di "un futuro di vita in pienezza" sigillato da una grande "benedizione". Come Abramo, dunque, chi accetta di seguire il Signore e "decide di partire accogliendo la sua chiamata", non avrà "mire di possesso" ma avvertirà "sempre la propria povertà" e assumerà "tutto come dono".
Avere fede in Dio, ha aggiunto il Papa, significa perciò "fondare su di Lui la mia vita", lasciando che "la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso".
Significa in definitiva "convertirsi", diventare "portatori di valori che spesso non coincidono con la moda e l'opinione del momento", non "avere timore di andare 'controcorrente'", "resistendo alla tentazione di 'uniformarsi'", in una società dove Dio è diventato il "grande assente" e dove l'uomo è indotto (dai progressi della scienza e della tecnica) a sentirsi onnipotente, autosufficiente ed egocentrico, creando così "non pochi squilibri all'interno dei rapporti interpersonali e dei comportamenti sociali".
Tuttavia, nel mondo permane "la sete di Dio" ed Abramo "continua ad essere padre di molti figli che accettano di camminare sulle sue orme", obbedendo "alla vocazione divina" con fiducia e "accogliendo la sua benedizione per farsi benedizione per tutti".
Ecco la nostra meta: "il mondo benedetto della fede, a cui tutti siamo chiamati, per camminare senza paura seguendo il Signore Gesù Cristo" e giungere così alla "patria celeste".
Giovanni Tridente
giovedì 24 gennaio 2013
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