"Abbiamo visto che la Chiesa anche oggi benché soffra tanto, come sappiamo, tuttavia è una Chiesa gioiosa, non è una Chiesa invecchiata, ma abbiamo visto che la Chiesa è giovane e che la fede crea gioia" (Benedetto XVI, 29 luglio 2010)

venerdì 5 luglio 2013

La lampada della fede, da Benedetto XVI a Papa Francesco


La lampada della fede passa da Benedetto XVI, che l'ha accesa e mostrata, a Papa Francesco che continua ad alimentarla: stamattina la presentazione dell'Enciclica Lumen Fidei, nell'Anno della fede e dopo Deus Caritas Est e Spe Salvi.

gt

SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE
SINTESI DELL’ENCICLICA “LUMEN FIDEI”

Lumen fidei - La luce della fede (LF) è la prima Enciclica firmata da Papa Francesco. Suddivisa in quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione, la Lettera – spiega lo stesso Pontefice – si aggiunge alle Encicliche di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza e assume il “prezioso lavoro” compiuto dal Papa emerito, che aveva già “quasi completato” l’Enciclica sulla fede. A questa “prima stesura” ora il Santo Padre Francesco aggiunge “ulteriori contributi”.


L’introduzione (n. 1-7) della LF illustra le motivazioni poste alla base del documento: innanzitutto,
recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di
aiutarlo a distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il credere
si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà
dell’uomo. In secondo luogo, la LF – proprio nell’Anno della fede, a 50 anni dal Concilio Vaticano II,
un “Concilio sulla fede” – vuole rinvigorire la percezione dell’ampiezza degli orizzonti che la fede apre
per confessarla in unità e integrità. La fede, infatti, non è un presupposto scontato, ma un dono di Dio
che va nutrito e rafforzato. “Chi crede, vede”, scrive il Papa, perché la luce della fede viene da Dio ed
è capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo: procede dal passato, dalla memoria della vita di
Gesù, ma viene anche dal futuro perché ci schiude grandi orizzonti.

Il primo capitolo (n. 8-22): Abbiamo creduto all’amore (1 Gv 4, 16). Facendo riferimento alla figura
biblica di Abramo, in questo capitolo la fede viene spiegata come “ascolto” della Parola di Dio,
“chiamata” ad uscire dal proprio io isolato per aprirsi ad una vita nuova e “promessa” del futuro, che
rende possibile la continuità del nostro cammino nel tempo, legandosi così strettamente alla speranza.
La fede è connotata anche dalla “paternità”, perché il Dio che ci chiama non è un Dio estraneo, ma è
Dio Padre, la sorgente di bontà che è all’origine di tutto e che sostiene tutto. Nella storia di Israele,
all’opposto della fede c’è l’idolatria, che disperde l’uomo nella molteplicità dei suoi desideri e lo
“disintegra nei mille istanti della sua storia”, negandogli di attendere il tempo della promessa. Al
contrario, la fede è affidamento all’amore misericordioso di Dio, che sempre accoglie e perdona, che
raddrizza “le storture della nostra storia”; è disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla
chiamata di Dio, “è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi a Lui
per vedere il luminoso cammino dell’incontro fra Dio e gli uomini, la storia della salvezza” (n.14). E
qui sta il “paradosso” della fede: il continuo volgersi al Signore rende stabile l’uomo, allontanandolo
dagli idoli.

La LF si sofferma, poi, sulla figura di Gesù, mediatore che ci apre ad una verità più grande di
noi, manifestazione di quell’amore di Dio che è il fondamento della fede: “nella contemplazione della
morte di Gesù, infatti, la fede si rafforza”, perché Egli vi rivela il suo amore incrollabile per l’uomo. In
quanto risorto, inoltre, Cristo è “testimone affidabile”, “degno di fede”, attraverso il quale Dio opera
veramente nella storia e ne determina il destino finale. Ma c’è “un aspetto decisivo” della fede in Gesù:
“la partecipazione al suo modo di vedere”. La fede, infatti, non solo guarda a Gesù, ma guarda anche
dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi. Usando un’analogia, il Papa spiega che come nella vita
quotidiana ci affidiamo a “persone che conoscono le cose meglio di noi” – l’architetto, il farmacista,
l’avvocato – così per la fede necessitiamo di qualcuno che sia affidabile ed esperto “nelle cose di Dio” e
Gesù è “colui che ci spiega Dio”. Per questo, crediamo a Gesù quando accettiamo la sua Parola, e
crediamo in Gesù quando Lo accogliamo nella nostra vita e ci affidiamo a Lui. La sua incarnazione,
infatti, fa sì che la fede non ci separi dalla realtà, ma ci aiuti a coglierne il significato più profondo.
Grazie alla fede, l’uomo si salva, perché si apre a un Amore che lo precede e lo trasforma dall’interno.
E questa è l’azione propria dello Spirito Santo: “Il cristiano può avere gli occhi di Gesù, i suoi
sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene reso partecipe del suo Amore, che è lo Spirito” (n.
21). Fuori dalla presenza dello Spirito, è impossibile confessare il Signore. Perciò “l’esistenza credente
diventa esistenza ecclesiale”, perché la fede si confessa all’interno del corpo della Chiesa, come
“comunione concreta dei credenti”. I cristiani sono “uno” senza perdere la loro individualità e nel
servizio agli altri ognuno guadagna il proprio essere. Perciò “la fede non è un fatto privato, una
concezione individualistica, un’opinione soggettiva”, ma nasce dall’ascolto ed è destinata a
pronunciarsi e a diventare annuncio.

Il secondo capitolo (n. 23-36): Se non crederete, non comprenderete (Is 7,9). Il Papa dimostra lo
stretto legame tra fede e verità, la verità affidabile di Dio, la sua presenza fedele nella storia. “La fede
senza verità non salva – scrive il Papa – Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di
felicità”. Ed oggi, data “la crisi di verità in cui viviamo”, è più che mai necessario richiamare questo
legame, perché la cultura contemporanea tende ad accettare solo la verità della tecnologia, ciò che
l’uomo riesce a costruire e misurare con la scienza e che è “vero perché funziona”, oppure le verità del
singolo valide solo per l’individuo e non a servizio del bene comune. Oggi si guarda con sospetto alla
“verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale”, perché la si associa
erroneamente alle verità pretese dai totalitarismi del XX secolo. Ciò comporta però il “grande oblio del
mondo contemporaneo” che - a vantaggio del relativismo e temendo il fanatismo - dimentica la
domanda sulla verità, sull’origine di tutto, la domanda su Dio. La LF sottolinea, poi, il legame tra fede
e amore, inteso non come “un sentimento che va e viene”, ma come il grande amore di Dio che ci
trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. Se, quindi, la fede è legata alla verità
e all’amore, allora “amore e verità non si possono separare”, perché solo l’amore vero supera la
prova del tempo e diventa fonte di conoscenza. E poiché la conoscenza della fede nasce dall’amore
fedele di Dio, “verità e fedeltà vanno insieme”. La verità che ci dischiude la fede è una verità
incentrata sull’incontro con Cristo incarnato, il quale, venendo tra noi, ci ha toccato e donato la sua
grazia, trasformando il nostro cuore.

A questo punto, il Papa apre un’ampia riflessione sul “dialogo tra fede e ragione”, sulla verità
nel mondo di oggi, in cui essa viene spesso ridotta ad “autenticità soggettiva”, perché la verità comune
fa paura, viene identificata con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Invece, se la verità è quella
dell’amore di Dio, allora non si impone con la violenza, non schiaccia il singolo. Per questo, la fede
non è intransigente, il credente non è arrogante. Al contrario, la verità rende umili e porta alla
convivenza ed al rispetto dell’altro. Ne deriva che la fede porta al dialogo in tutti i campi: in quello
della scienza, perché risveglia il senso critico e allarga gli orizzonti della ragione, invitando a guardare
con meraviglia il Creato; nel confronto interreligioso, in cui il cristianesimo offre il proprio contributo;
nel dialogo con i non credenti che non cessano di cercare, i quali “cercano di agire come se Dio
esistesse”, perché “Dio è luminoso e può essere trovato anche da coloro che lo cercano con cuore
sincero”. “Chi si mette in cammino per praticare il bene – sottolinea il Papa – si avvicina già a Dio”.
Infine, la LF parla della teologia ed afferma che essa è impossibile senza la fede, poiché Dio non ne è
un semplice “oggetto”, ma è Soggetto che si fa conoscere. La teologia è partecipazione alla conoscenza
che Dio ha di se stesso; ne consegue che essa deve porsi al servizio della fede dei cristiani e che il
Magistero ecclesiale non è un limite alla libertà teologica, bensì un suo elemento costitutivo perché
esso assicura il contatto con la fonte originaria, con la Parola di Cristo.

Il terzo capitolo (n. 37- 49): Vi trasmetto quello che ho ricevuto (1 Cor 15,3). Tutto il capitolo è
incentrato sull’importanza dell’evangelizzazione: chi si è aperto all’amore di Dio, non può tenere
questo dono per sé, scrive il Papa. La luce di Gesù brilla sul volto dei cristiani e così si diffonde, si
trasmette nella forma del contatto, come una fiamma che si accende dall’altra, e passa di generazione in
generazione, attraverso la catena ininterrotta dei testimoni della fede. Ciò comporta il legame tra fede e
memoria perché l’amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù. Inoltre,
diventa “impossibile credere da soli”, perché la fede non è “un’opzione individuale”, ma apre l’io al
“noi” ed avviene sempre “all’interno della comunione della Chiesa”. Per questo, “chi crede non è mai
solo”: perché scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano e generano nuove relazioni che arricchiscono
la vita.

C’è, però, “un mezzo speciale” con cui la fede può trasmettersi: sono i Sacramenti, in cui si
comunica “una memoria incarnata”. Il Papa cita innanzitutto il Battesimo – sia dei bambini sia degli
adulti, nella forma del catecumenato - che ci ricorda che la fede non è opera dell’individuo isolato, un
atto che si può compiere da soli, bensì deve essere ricevuta, in comunione ecclesiale. “Nessuno battezza
se stesso”, spiega la LF. Inoltre, poiché il bambino battezzando non può confessare la fede da solo, ma
deve essere sostenuto dai genitori e dai padrini, ne deriva “l’importanza della sinergia tra la Chiesa e la
famiglia nella trasmissione della fede”. In secondo luogo, l’Enciclica cita l’Eucaristia, “nutrimento
prezioso della fede”, “atto di memoria, attualizzazione del mistero” e che “conduce dal mondo visibile
verso l’invisibile”, insegnandoci a vedere la profondità del reale. 

Il Papa ricorda poi la confessione della fede, il Credo, in cui il credente non solo confessa la fede, ma si vede coinvolto nella verità che confessa; la preghiera, il Padre Nostro, con cui il cristiano incomincia a vedere con gli occhi di Cristo; il Decalogo, inteso non come “un insieme di precetti negativi”, ma come “insieme di indicazioni concrete” per entrare in dialogo con Dio, “lasciandosi abbracciare dalla sua misericordia”, “cammino della gratitudine” verso la pienezza della comunione con Dio. Infine, il Papa sottolinea che la fede è una perché uno è “il Dio conosciuto e confessato”, perché si rivolge all’unico Signore, ci dona “l’unità di visione”, ed “è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito”. Dato, dunque, che la fede è una sola, allora deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità: “l’unità della fede è l’unità della Chiesa”; togliere qualcosa alla fede è togliere qualcosa alla verità della comunione.
Inoltre, poiché l’unità della fede è quella di un organismo vivente, essa può assimilare in sé tutto ciò
che trova, dimostrando di essere universale, cattolica, capace di illuminare e portare alla sua migliore
espressione tutto il cosmo e tutta la storia. Tale unità è garantita dalla successione apostolica.

Il quarto capitolo (n. 50-60): Dio prepara per loro una città (Eb 11,16). Questo capitolo spiega il
legame tra la fede e il bene comune, che porta alla formazione di un luogo in cui l’uomo può abitare
insieme agli altri. La fede, che nasce dall’amore di Dio, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al
servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Ecco perché essa non allontana dal mondo e
non è estranea all’impegno concreto dell’uomo contemporaneo. Anzi: senza l’amore affidabile di Dio,
l’unità tra gli uomini sarebbe fondata solo sull’utilità, sull’interesse o sulla paura. La fede, invece,
coglie il fondamento ultimo dei rapporti umani, il loro destino definitivo in Dio, e li pone a servizio del
bene comune. La fede “è un bene per tutti, un bene comune”; non serve a costruire unicamente
l’aldilà, ma aiuta a edificare le nostre società, così che camminino verso un futuro di speranza.

L’Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede: innanzitutto, la famiglia fondata
sul matrimonio, inteso come unione stabile tra uomo e donna. Essa nasce dal riconoscimento e
dall’accettazione della bontà della differenza sessuale e, fondata sull’amore in Cristo, promette “un
amore che sia per sempre” e riconosce l’amore creatore che porta a generare figli. Poi, i giovani: qui il
Papa cita le Giornate Mondiali della Gioventù, in cui i giovani mostrano “la gioia della fede” e
l’impegno a viverla in modo saldo e generoso. “I giovani hanno il desiderio di una vita grande – scrive
il Pontefice –. L’incontro con Cristo dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio
per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”. E ancora, in tutti i rapporti sociali: rendendoci
figli di Dio, infatti, la fede dona un nuovo significato alla fraternità universale tra gli uomini, che non è
mera uguaglianza, bensì esperienza della paternità di Dio, comprensione della dignità unica della
singola persona. Un ulteriore ambito è quello della natura: la fede ci aiuta a rispettarla, a “trovare
modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità o sul profitto, ma che considerino il creato come
un dono”; ci insegna ad individuare forme giuste di governo, in cui l’autorità viene da Dio ed è a
servizio del bene comune; ci offre la possibilità del perdono che porta a superare i conflitti. “Quando la
fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno”, scrive il Papa, e se
togliamo la fede in Dio dalle nostre città, perderemo la fiducia tra noi e saremo uniti solo dalla paura.

Per questo che non dobbiamo vergognarci di confessare pubblicamente Dio, in quanto la fede illumina
il vivere sociale. Altro ambito illuminato dalla fede è quello della sofferenza e della morte: il
cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare
affidamento alle mani di Dio che mai ci abbandona e così essere “tappa di crescita della fede”.
All’uomo che soffre Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua presenza che
accompagna, che apre un varco di luce nelle tenebre. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza.
E qui il Papa lancia un appello: “Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia
vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino”.

Conclusione (n. 58-60): Beata colei che ha creduto (Lc 1,45). Alla fine della LF, il Papa invita a
guardare a Maria, “icona perfetta” della fede, perché, in quanto Madre di Gesù, ha concepito “fede e
gioia”. A Lei innalza la sua preghiera il Pontefice affinché aiuti la fede dell’uomo, ci ricordi che chi
crede non è mai solo e ci insegni a guardare con gli occhi di Gesù.

0 comments:

Posta un commento

Archivio

 

GIOVANE CHIESA Copyright © 2011 -- Template created by O Pregador -- Powered by Blogger