"Abbiamo visto che la Chiesa anche oggi benché soffra tanto, come sappiamo, tuttavia è una Chiesa gioiosa, non è una Chiesa invecchiata, ma abbiamo visto che la Chiesa è giovane e che la fede crea gioia" (Benedetto XVI, 29 luglio 2010)

giovedì 28 febbraio 2013

Benedetto XVI: Chiesa corpo vivo, suo cuore è Cristo; incondizionata reverenza ed obbedienza al Successore


Dal Congedo con i Cardinali nella Sala Clementina

Con grande gioia vi accolgo e porgo a ciascuno di voi il mio più cordiale saluto. Ringrazio il Cardinale Angelo Sodano che, come sempre, ha saputo farsi interprete dei sentimenti dell’intero Collegio: Cor ad cor loquitur. Grazie Eminenza di cuore. E vorrei dire – riprendendo il riferimento all’esperienza dei discepoli di Emmaus – che anche per me è stata una gioia camminare con voi in questi anni, nella luce della presenza del Signore risorto.
Come ho detto ieri davanti alle migliaia di fedeli che riempivano Piazza San Pietro, la vostra vicinanza e il vostro consiglio mi sono stati di grande aiuto nel mio ministero. In questi otto anni, abbiamo vissuto con fede momenti bellissimi di luce radiosa nel cammino della Chiesa, assieme a momenti in cui qualche nube si è addensata nel cielo. Abbiamo cercato di servire Cristo e la sua Chiesa con amore profondo e totale, che è l’anima del nostro ministero. Abbiamo donato speranza, quella che ci viene da Cristo, che solo può illuminare il cammino. Insieme possiamo ringraziare il Signore che ci ha fatti crescere nella comunione, e insieme pregarlo di aiutarvi a crescere ancora in questa unità profonda, così che il Collegio dei Cardinali sia come un’orchestra, dove le diversità – espressione della Chiesa universale – concorrano sempre alla superiore e concorde armonia.

Vorrei lasciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi - possiamo dire - la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardini: La Chiesa "non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo".

E’ stata la nostra esperienza, ieri, mi sembra, in Piazza: vedere che la Chiesa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbiamo visto ieri. Per questa è vera ed eloquente anche l’altra famosa espressione di Guardini: "La Chiesa si risveglia nelle anime". La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime, che - come la Vergine Maria - accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi.


Rimaniamo uniti, cari Fratelli, in questo Mistero: nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia quotidiana, e così serviamo la Chiesa e l’intera umanità. Questa è la nostra gioia, che nessuno ci può togliere.


Prima di salutarvi personalmente, desidero dirvi che continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza. Per questo, con affetto e riconoscenza, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


BENEDETTO XVI

mercoledì 27 febbraio 2013

"...Vedo la Chiesa viva": il testamento spirituale di Benedetto XVI


Dall'ultima Udienza Generale di mercoledì 27 febbraio 2013

Vi ringrazio di essere venuti così numerosi a questa mia ultima Udienza generale.
Grazie di cuore! Sono veramente commosso! E vedo la Chiesa viva! E penso che dobbiamo anche dire un grazie al Creatore per il tempo bello che ci dona adesso ancora nell’inverno.
Come l’apostolo Paolo nel testo biblico che abbiamo ascoltato, anch’io sento nel mio cuore di dover soprattutto ringraziare Dio, che guida e fa crescere la Chiesa, che semina la sua Parola e così alimenta la fede nel suo Popolo. In questo momento il mio animo si allarga ed abbraccia tutta la Chiesa sparsa nel mondo; e rendo grazie a Dio per le «notizie» che in questi anni del ministero petrino ho potuto ricevere circa la fede nel Signore Gesù Cristo, e della carità che circola realmente nel Corpo della Chiesa e lo fa vivere nell’amore, e della speranza che ci apre e ci orienta verso la vita in pienezza, verso la patria del Cielo.

Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale. Tutto e tutti raccolgo nella preghiera per affidarli al Signore: perché abbiamo piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, e perché possiamo comportarci in maniera degna di Lui, del suo amore, portando frutto in ogni opera buona (cfr Col 1,9-10).


In questo momento, c’è in me una grande fiducia, perché so, sappiamo tutti noi, che la Parola di verità del Vangelo è la forza della Chiesa, è la sua vita. Il Vangelo purifica e rinnova, porta frutto, dovunque la comunità dei credenti lo ascolta e accoglie la grazia di Dio nella verità e nella carità. Questa è la mia fiducia, questa è la mia gioia.


Quando, il 19 aprile di quasi otto anni fa, ho accettato di assumere il ministero petrino, ho avuto la ferma certezza che mi ha sempre accompagnato: questa certezza della vita della Chiesa dalla Parola di Dio. In quel momento, come ho già espresso più volte, le parole che sono risuonate nel mio cuore sono state: Signore, perché mi chiedi questo e che cosa mi chiedi? E’ un peso grande quello che mi poni sulle spalle, ma se Tu me lo chiedi, sulla tua parola getterò le reti, sicuro che Tu mi guiderai, anche con tutte le mie debolezze. E otto anni dopo posso dire che il Signore mi ha guidato, mi è stato vicino, ho potuto percepire quotidianamente la sua presenza. E’ stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore.


Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo!


Ma non è solamente Dio che voglio ringraziare in questo momento. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è la sua prima responsabilità Io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine. Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile. Un pensiero speciale alla Chiesa di Roma, la mia Diocesi! Non posso dimenticare i Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, le persone consacrate e l’intero Popolo di Dio: nelle visite pastorali, negli incontri, nelle udienze, nei viaggi, ho sempre percepito grande attenzione e profondo affetto; ma anch’io ho voluto bene a tutti e a ciascuno, senza distinzioni, con quella carità pastorale che è il cuore di ogni Pastore, soprattutto del Vescovo di Roma, del Successore dell’Apostolo Pietro. Ogni giorno ho portato ciascuno di voi nella preghiera, con il cuore di padre.

Vorrei che il mio saluto e il mio ringraziamento giungesse poi a tutti: il cuore di un Papa si allarga al mondo intero. E vorrei esprimere la mia gratitudine al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, che rende presente la grande famiglia delle Nazioni. Qui penso anche a tutti coloro che lavorano per una buona comunicazione e che ringrazio per il loro importante servizio.

A questo punto vorrei ringraziare di vero cuore anche tutte le numerose persone in tutto il mondo, che nelle ultime settimane mi hanno inviato segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera. Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore. Il Papa appartiene a tutti e tantissime persone si sentono molto vicine a lui. E’ vero che ricevo lettere dai grandi del mondo – dai Capi di Stato, dai Capi religiosi, dai rappresentanti del mondo della cultura eccetera. Ma ricevo anche moltissime lettere da persone semplici che mi scrivono semplicemente dal loro cuore e mi fanno sentire il loro affetto, che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa. Queste persone non mi scrivono come si scrive ad esempio ad un principe o ad un grande che non si conosce. Mi scrivono come fratelli e sorelle o come figli e figlie, con il senso di un legame familiare molto affettuoso. Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa – non un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino. Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi!


In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.

Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. Ho potuto sperimentare, e lo sperimento precisamente ora, che uno riceve la vita proprio quando la dona. Prima ho detto che molte persone che amano il Signore amano anche il Successore di san Pietro e sono affezionate a lui; che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della vostra comunione; perché non appartiene più a se stesso, appartiene a tutti e tutti appartengono a lui.

Il "sempre" è anche un "per sempre" - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio.


Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che orrei vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito.


Invochiamo la materna intercessione della Vergine Maria Madre di Dio e della Chiesa perché accompagni ciascuno di noi e l’intera comunità ecclesiale; a Lei ci affidiamo, con profonda fiducia.

Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo. Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!

BENEDETTO XVI

domenica 24 febbraio 2013

Benedetto XVI: il Signore mi chiama a 'salire sul monte' per dedicarmi alla preghiera e alla meditazione


Dall'Angelus di Domenica 24 febbraio 2013

Nella seconda domenica di Quaresima la Liturgia ci presenta sempre il Vangelo della Trasfigurazione del Signore. L’evangelista Luca pone in particolare risalto il fatto che Gesù si trasfigurò mentre pregava: la sua è un’esperienza profonda di rapporto con il Padre durante una sorta di ritiro spirituale che Gesù vive su un alto monte in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre discepoli sempre presenti nei momenti della manifestazione divina del Maestro (Lc 5,10; 8,51; 9,28).

Il Signore, che poco prima aveva preannunciato la sua morte e risurrezione (9,22), offre ai discepoli un anticipo della sua gloria. E anche nella Trasfigurazione, come nel battesimo, risuona la voce del Padre celeste: «Questi è il figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» (9,35). La presenza poi di Mosè ed Elia, che rappresentano la Legge e i Profeti dell’antica Alleanza, è quanto mai significativa: tutta la storia dell’Alleanza è orientata a Lui, il Cristo, che compie un nuovo «esodo» (9,31), non verso la terra promessa come al tempo di Mosè, ma verso il Cielo. L’intervento di Pietro: «Maestro, è bello per noi essere qui» (9,33) rappresenta il tentativo impossibile di fermare tale esperienza mistica. Commenta sant’Agostino: «[Pietro]…sul monte…aveva Cristo come cibo dell’anima. Perché avrebbe dovuto scendere per tornare alle fatiche e ai dolori, mentre lassù era pieno di sentimenti di santo amore verso Dio e che gli ispiravano perciò una santa condotta?» (Discorso 78,3).

Meditando questo brano del Vangelo, possiamo trarne un insegnamento molto importante. Innanzitutto, il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo. Nella Quaresima impariamo a dare il giusto tempo alla preghiera, personale e comunitaria, che dà respiro alla nostra vita spirituale. Inoltre, la preghiera non è un isolarsi dal mondo e dalle sue contraddizioni, come sul Tabor avrebbe voluto fare Pietro, ma l’orazione riconduce al cammino, all’azione. «L’esistenza cristiana – ho scritto nel Messaggio per questa Quaresima – consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio, per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano, in modo da servire i nostri fratelli e sorelle con lo stesso amore di Dio» (n. 3).

Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Il Signore mi chiama a "salire sul monte", a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui l’ho fatto fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze. Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti tutti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa.

BENEDETTO XVI

martedì 19 febbraio 2013

Benedetto XVI: ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando orgoglio ed egoismo


Dall'Angelus di domenica 17 febbraio

Mercoledì scorso, con il tradizionale Rito delle Ceneri, siamo entrati nella Quaresima, tempo di conversione e di penitenza in preparazione alla Pasqua. La Chiesa, che è madre e maestra, chiama tutti i suoi membri a rinnovarsi nello spirito, a ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere nell’amore. In questo Anno della fede la Quaresima è un tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base della nostra vita e della vita della Chiesa. Ciò comporta sempre una lotta, un combattimento spirituale, perché lo spirito del male naturalmente si oppone alla nostra santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Dio. Per questo, nella prima domenica di Quaresima, viene proclamato ogni anno il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto.

Gesù infatti, dopo aver ricevuto l’"investitura" come Messia – "Unto" di Spirito Santo – al battesimo nel Giordano, fu condotto dallo stesso Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Al momento di iniziare il suo ministero pubblico, Gesù dovette smascherare e respingere le false immagini di Messia che il tentatore gli proponeva. Ma queste tentazioni sono anche false immagini dell’uomo, che in ogni tempo insidiano la coscienza, travestendosi da proposte convenienti ed efficaci, addirittura buone.

Gli evangelisti Matteo e Luca presentano tre tentazioni di Gesù, diversificandosi in parte solo per l’ordine. Il loro nucleo centrale consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore è subdolo: non spinge direttamente verso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. In questo modo, Dio diventa secondario, si riduce a un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce. In ultima analisi, nelle tentazioni è in gioco la fede, perché è in gioco Dio. Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene?


Come ci insegnano i Padri della Chiesa, le tentazioni fanno parte della "discesa" di Gesù nella nostra condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze. Una "discesa" che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In questo modo, Egli è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna sant’Agostino, Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria (cfr Enarr. in Psalmos, 60,3: PL 36, 724). Non abbiamo dunque paura di affrontare anche noi il combattimento contro lo spirito del male: l’importante è che lo facciamo con Lui, con Cristo, il Vincitore. E per stare con Lui rivolgiamoci alla Madre, Maria: invochiamola con fiducia filiale nell’ora della prova, e lei ci farà sentire la potente presenza del suo Figlio divino, per respingere le tentazioni con la Parola di Cristo, e così rimettere Dio al centro della nostra vita.


BENEDETTO XVI

venerdì 15 febbraio 2013

Benedetto XVI, ecco la missione della Chiesa di domani

INCONTRO CON I PARROCI E IL CLERO DI ROMA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


E’ per me un dono particolare della Provvidenza che, prima di lasciare il ministero petrino, possa ancora vedere il mio clero, il clero di Roma. E’ sempre una grande gioia vedere come la Chiesa vive, come a Roma la Chiesa è vivente; ci sono Pastori che, nello spirito del Pastore supremo, guidano il gregge del Signore. E’ un clero realmente cattolico, universale, e questo risponde all’essenza della Chiesa di Roma: portare in sé l’universalità, la cattolicità di tutte le genti, di tutte le razze, di tutte le culture. Nello stesso tempo, sono molto grato al Cardinale Vicario che aiuta a risvegliare, a ritrovare le vocazioni nella stessa  Roma, perché se Roma, da una parte, dev’essere la città dell’universalità, dev’essere anche una città con una propria forte e robusta fede, dalla quale nascono anche vocazioni. E sono convinto che, con l’aiuto del Signore, possiamo trovare le vocazioni che Egli stesso ci dà, guidarle, aiutarle a maturare, e così servire per il lavoro nella vigna del Signore.

Oggi avete confessato davanti alla tomba di san Pietro il Credo: nell’Anno della fede, mi sembra un atto molto opportuno, necessario forse, che il clero di Roma si riunisca sulla tomba dell’Apostolo al quale il Signore ha detto: “A te affido la mia Chiesa. Sopra di te costruisco la mia Chiesa” (cfr Mt 16,18-19). Davanti al Signore, insieme con Pietro, avete confessato: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo” (cfr Mt 16,15-16). 


Così cresce la Chiesa: insieme con Pietro, confessare Cristo, seguire Cristo. E facciamo questo sempre. Io sono molto grato per la vostra preghiera, che ho sentito – l’ho detto mercoledì – quasi fisicamente. Anche se adesso mi ritiro, nella preghiera sono sempre vicino a tutti voi e sono sicuro che anche voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimango nascosto.


Per oggi, secondo le condizioni della mia età, non ho potuto preparare un grande, vero discorso, come ci si potrebbe aspettare; ma piuttosto penso ad una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II, come io l’ho visto. 

mercoledì 13 febbraio 2013

Benedetto XVI: fare spazio (ritornare) a Dio preferendo l'amore della Croce al potere umano

Il cristiano è chiamato ogni giorno a far sí che, "nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l'amore diventino la cosa più importante", rifuggendo la tentazione della "ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione". In una sola parola, significa "convertirsi", come ci chiede il cammino di Quaresima che inizia oggi, Mercoledì delle Ceneri, e sul quale ha appunto riflettuto il Santo Padre Benedetto XVI nella penultima Udienza generale del Suo Pontificato.

Questo "cammino che ogni cristiano deve percorrere" è certamente "non facile", soprattutto in questa epoca particolare della storia, dove non si è più cristiani solo per il semplice fatto di "vivere in una società che ha radici cristiane". Tutt'altro. "Non è facile", infatti, superare quelle tante prove che "toccano la vita personale e sociale": fedeltà al matrimonio cristiano, spirito misericordioso nella vita quotidiana, spazio alla preghiera e al silenzio interiore, opposizione ad aborto, eutanasia o selezione degli embrioni... 

Chiaramente, superare queste prove richiede un surplus di impegno, un "rinnovare la scelta" della fede ogni giorno, "più volte nella vita"

Ma l'epoca contemporanea, caratterizzata dall'"eclissi del senso del sacro" è tuttavia ricca di persone che, pur vivendo "in contesti sociali e culturali che sembrano inghiottiti dalla secolarizzazione", hanno aperto le porte dei loro cuori a Dio, convertendosi. 

Il Papa ha citato gli esempi dello scienziato agnostico Pavel Florenskij, che finisce per "farsi monaco"; della giovane olandese di origine ebraica Etty Hillesum, che ritrova Dio nella tragedia della Shoah; della politica marxista statunitense Dorothy Day, che dedica poi tutta la sua vita ai diseredati...

Insomma, "il nostro uomo interiore deve prepararsi per essere visitato da Dio, e proprio per questo non deve lasciarsi invadere dalla illusioni, dalle apparenze, dalle cose materiale". Per vivere bene la Quaresima, bisogna quindi fare "spazio a Dio, guardando con i suoi occhi la realtà quotidiana", preferendo "l'amore della Croce" al "potere umano".

Nella Santa Messa per l'imposizione delle Ceneri, celebrate quest'anno nella Basilica Vaticana per via del "particolare momento" della conclusione del suo ministero petrino, il Santo Padre ha riflettuto sulla necessità di "ritornare a Dio con tutto il cuore", attingendo "spunti" dalle Letture della liturgia, che devono concretizzarsi in "atteggiamenti e comportamenti concreti".

Questo "ritorno al Signore è possibile come 'grazia', perché è opera di Dio e frutto della fede che noi riponiamo nella sua misericordia", e "diventa realtà concreta" solo se ci lasciamo "lacerare il cuore", agendo "sulla propria coscienza e sulle nostre intenzioni, lasciando che il Signore trasformi, rinnovi e converta".

Questo richiamo è tuttavia rivolto a tutta la comunità, perché "la dimensione comunitaria è un elemento essenziale nella fede e nella vita cristiana" e "la fede è necessariamente ecclesiale". Cosicché bisogna riflettere su questo aspetto, che spesso offre una cattiva testimonianza soprattutto a coloro che sono "lontani dalla fede o indifferenti", come nel caso delle divisioni della Chiesa e "nel corpo ecclesiale", quando non vengono superati "individualismi e rivalità".

La "salvezza" ci viene offerta come "un'urgenza", un "momento che non può essere lasciato sfuggire", "come un'occasione unica e irripetibile", ma che passa necessariamente "attraverso la Croce".

Un'ultima riflessione il Papa l'ha riservata all'incisività della testimonianza, che è tale "quanto meno cercheremo la nostra gloria e saremo consapevoli che la ricompensa del giusto - colui che rifugge "l'applauso e l'approvazione" - è Dio stesso".

Giovanni Tridente

lunedì 11 febbraio 2013

Benedetto XVI, la Chiesa giovane e la fedeltà al suo programma di governo sotto la guida di Dio

Benedetto XVI lo aveva già annunciato il 24 aprile del 2005 quale sarebbe stato il suo "vero programma di governo", cioè quello di ascoltare sempre la parola e la volontà del Signore, per lasciarsi "guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia". 

In quella stessa circostanza, nella prima Messa per l'inizio del suo ministero petrino, riferendosi all'eredità lasciata dal suo Predecessore Giovanni Paolo II - sperimentata proprio "nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa" - disse che "la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro".

Concetti che è ritornato a ribadire proprio tre giorni fa, incontrando per l'ultima tradizionale Lectio divina i seminaristi del Pontificio Seminario Romano Maggiore, quasi a chiusura del ciclo del suo intenso pontificato, un'eredità per coloro che saranno i sacerdoti di domani: "da cristiani abbiamo il futuro, il futuro è nostro, il futuro è di Dio" e "l'albero della Chiesa non è un albero morente, ma l'albero che cresce sempre di nuovo", "si rinnova sempre", perché "il futuro è realmente di Dio".

Oggi il Papa ha comunicato le sue dimissioni, una "decisione di grande importanza", sicuramente inaspettata, "dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio" e dopo aver sperimentato il venir meno del "vigore sia del corpo, sia dell’animo", altrimenti necessari "per esercitare in modo adeguato il ministero petrino". Soprattutto, ha aggiunto, "nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede", riconoscendosene umilmente "incapace".

"Per quanto mi riguarda", ha concluso Benedetto XVI, "anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio".

Ecco la chiave di volta, "Santa Chiesa di Dio", dal quale parte tutto e verso dove bisogna orientare la nostra vocazione di Battezzati. La Chiesa è di Dio, così come il suo futuro, ed è per questo che è sempre "viva", è sempre "giovane", sempre si rinnova, come ci ha insegnato Benedetto XVI.

E anche per questo "Giovane Chiesa", questo umile blog, continuerà a raccontare questa vitalità. 

Grazie Santo Padre, grazie per la sua profonda umanità ed umiltà e per gli abbondanti doni che Cristo, attraverso di Lei Suo Vicario, ha diramato su tutta la Chiesa in questi splendidi anni di generoso e provvidenziale pontificato vissuto da Servo dei Servi. Le assicuro come sempre le mie preghiere.

Giovanni Tridente

domenica 10 febbraio 2013

Benedetto XVI: il cristiano è martire, disperso e straniero ma eletto da Dio

"Nessuno può essere cristiano senza seguire il Crocifisso, senza accettare anche il momento martirologico", "che può avere forme molto diverse". Tuttavia, "dobbiamo essere grati e gioiosi" per essere stati "eletti" da Dio "da sempre, prima della nostra nascita, del nostro concepimento". Lo ha detto Benedetto XVI incontrando i seminaristi del Pontificio Seminario Romano Maggiore, ai quali ha tenuto la tradizionale Lectio Divina sulla Prima Lettera di San Pietro (1, 3-5).

Questo "privilegio" dell'essere stati scelti da parte di Dio, rappresenta al tempo stesso una risposta in "umiltà", perché, come cristiani, diventiamo al tempo stesso"dispersi", "stranieri" e "perseguitati", nel senso che siamo chiamati "contro le tendenze dell'egoismo, del materialismo" di cui il mondo è saturo, restando "una minoranza", "in una situazione di estraneità , generando negli altri "meraviglia che uno possa ancora credere e vivere così".

Ma in ciò si trova "la forma di essere con Cristo Crocifisso", "non vivendo secondo il modo in cui vivono tutti , ma vivendo - o cercando almeno di vivere - secondo la sua Parola, in una grande diversità rispetto a quanto dicono tutti". Una forma che si fa "missione" "di essere responsabili per gli altri, e, proprio così, dando forza al bene nel nostro mondo".

Essere cristiano, ha aggiunto il Papa, "non è un atto solo della mia volontà, non primariamente della mia volontà, della mia ragione: è un atto di Dio". Ecco perché "io non posso farmi cristiano, ma vengo fatto rinascere, vengo rifatto dal Signore nella profondità del mio essere". In questo modo - attraverso il Battesimo "che è un processo di tutta una vita" - entro "in una nuova famiglia: Dio, il Padre mio, la Chiesa mia Madre, gli altri cristiani, miei fratelli e sorelle".

Da cristiani abbiamo anche "il futuro", perché riceviamo in "eredità" "l'albero della Chiesa", "che cresce sempre di nuovo", anche se molti "profeti di sventura" ci impressionano dicendoci il contrario. È pur vero che ci sono "cadute gravi, pericolose, e dobbiamo riconoscere con sano realismo che così non va" quando si fanno "cose sbagliate". Però al tempo stesso bisogna essere sicuri "che se qua e là la Chiesa muore a causa dei peccati degli uomini, a causa della loro non credenza", ugualmente "nasce di nuovo".

In tutto ciò ci è di garanzia "la fede", come "il vigile che custodisce l'integrità del mio essere, della mia vita, della mia eredità" e "ci protegge, ci aiuta, ci guida, ci da la sicurezza". Grazie alla fede, insomma, noi tocchiamo "con il nostro cuore Cristo" ed entriamo "nella forza della sua vita, nella forza risanante del Signore".

Giovanni Tridente

giovedì 7 febbraio 2013

Benedetto XVI: grazie all'energia e alla vitalità dei giovani il mondo avrà futuro

È grazie all'energia e alla vitalità dei giovani che il mondo avrà futuro e l'umanità non sarà ripiegata su se stessa, superando così quell'impoverimento "non solo economico e sociale ma soprattutto umano e spirituale". È ciò che ha detto Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti all'Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, dedicata quest'anno al tema delle "Culture giovanili emergenti".

È vero, ha detto il Papa, che ci sono tante incertezze e fragilità "che connotano" il mondo giovanile, rendendolo quasi del tutto invisibile e assente "nei processi storici e culturali delle società". Eppure si registrano tanti esempi di generosità e coraggio, tante "esperienze di fede sincera e profonda", tanta capacità "di rispettare la libertà e la dignità di tutti", soprattutto dei "più piccoli e deboli", tanto che non esiste più un'unica categoria culturale o un'unica prassi consolidata per leggere e definire questo mondo dei giovani. 

Un'analisi corretta e sincera del fenomeno deve pertanto partire da un orizzonte molto più ampio, che contempla "pluralità di visioni, di prospettive, di strategie". Nonostante le "tante situazioni problematiche", la Chiesa ha una grande "fiducia nei giovani", guardando "alla loro condizione, alle loro culture, come ad un punto di riferimento essenziale ed ineludibile per la sua azione pastorale", ha aggiunto il Santo Padre.

Come già avevano fatto il Concilio Vaticano II e il Venerabile Paolo VI, Benedetto XVI ha rinnovato la speranza della Chiesa nei giovani "e nelle loro energie", ribadendo che "ha bisogno di loro e della loro vitalità, per continuare a vivere con rinnovato slancio la missione affidatale da Cristo".

In particolare Paolo VI, nel suo appello ai giovani del mondo, aveva affermato: "Lottate contro ogni egoismo. Rifiutate di dar libero corso agli istinti della violenza e dell'odio, che generano le guerre e il loro triste corteo di miserie. Siate generosi, puri, rispettosi, sinceri. E costruite nell'entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!".

Giovanni Tridente

Benedetto XVI: ragione, amore e libertà alla base dell'origine dell'uomo

"La nostra origine non è l'irrazionale e la necessità, ma la ragione e l'amore e la libertà". Il mondo, perciò, "non è un insieme di forze tra loro contrastanti" ma si fonda proprio su questa "Ragione eterna di Dio", che continua a sorreggerlo. Credere in questa razionalità, inoltre, "illumina ogni aspetto dell'esistenza e dà il coraggio di affrontare con fiducia e con speranza l'avventura della vita". Benedetto XVI ha sintetizzato con queste parole, attingendo ampiamente dalla Sacra Scrittura, l'origine del mondo e dell'umanità per opera del suo Creatore, commentando il passo successivo del Credo - "Creatore del cielo e della terra" - nel ciclo di catechesi dedicato all'Anno della fede che tiene nell'Udienza del mercoledì.

"Nella bellezza della creazione si dispiega la sua onnipotenza di Padre che ama" - un Padre buono, amorevole e fedele - e si dischiude un "appello alla fede di noi credenti" per proclamarlo come tale. La fede, infatti, implica "di saper riconoscere l'invisibile individuandone la traccia nel mondo visibile". Tuttavia, per "leggere il grande libro della natura e intenderne il linguaggio" è necessario ricorrere alla "Parola di rivelazione", contenuta nella Bibbia.

Il testo sacro, lungi da essere "un manuale di scienze naturali" è l'unico in grado di "far comprendere la verità autentica e profonda delle cose", e cioè che tutto ciò che Dio ha creato "è bello e buono, intriso di sapienza e di amore", ordinato e armonico.

Al vertice di questa creazione ci sono "l'uomo e la donna", "un'unica umanità plasmata con l'unica terra di Dio", "al di là delle distinzioni operate dalla cultura e dalla storia" e di ogni differenza sociale. Tutti, poi, "portiamo in noi l'alito vitale di Dio", ed è qui che si colloca "la ragione più profonda dell'inviolabilità della dignità umana" contro quegli interessi "utilitaristici e di potere". L'uomo, in sostanza, "non è chiuso in se stesso, ma ha un riferimento essenziale in Dio".

lunedì 4 febbraio 2013

Benedetto XVI: la vita consacrata, segno di contraddizione contro i profeti di sventura

Una fede che dia luce alla propria vocazione, "che sappia riconoscere la sapienza della debolezza" e che, rinnovata, renda "pellegrini verso il futuro". È questo l'invito che Benedetto XVI ha rivolto a tutti i membri degli Istituti di vita consacrata, nel giorno al loro dedicato, nella liturgia della Presentazione di Gesù al Tempo, il 2 febbraio.

"Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il non senso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni", ha ribadito il Papa, spronando le consacrate e i consacrati a farsi strumento che "irradia" la "luce di Dio", "che evangelizza le genti", ma che non è immune dal passare - "necessariamente" - attraverso la "sofferenza del cuore che forma un tutt'uno col Cuore del Figlio di Dio, trafitto per amore".

Per "alimentare" la propria fede, il Santo Padre suggerisce di "fare memoria, come in un pellegrinaggio interiore, del 'primo amore' con cui il Signore Gesù ha riscaldato il vostro cuore", stando a tu per tu con Lui, "nel silenzio dell'adorazione" e ripartire così per un rinnovato servizio a Dio e ai fratelli.

"Nella società dell'efficienza e del successo, la vostra vita segnata dal 'minorità' e dalla debolezza dei piccoli, dall'empatia con coloro che non hanno voce, diventa un evangelico segno di contraddizione", ha aggiunto Benedetto XVI.

Questa riflessione si ricollega direttamente con l'Angelus di ieri mattina, quando il Papa ha ricordato che "il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona". 

Per cui, "credere in Dio significa rinunciare ai propri pregiudizi e accogliere il volto concreto in cui Lui si è rivelato: l'uomo Gesù di Nazaret", la via che conduce "anche a riconoscerlo e a servirlo negli altri". Proprio come sono chiamati a fare i membri degli Istituti di Vita Consacrata, seguendo l'esempio "illuminante" della Vergine Maria, "la Consacrata per eccellenza".

Giovanni Tridente

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